Teatro dell’assurdo

Concorso esterno per mafia: reato assente dal Codice penale

di Guido Camera

Ha scritto un illustre penalista siciliano, Giovanni Fiandaca, che il concorso esterno nel reato associativo di stampo mafioso (nel senso lato del termine, ovvero riferito a tutta la criminalità organizzata), "continua ad apparire un istituto giuridico polemologico", che, in quanto tale, è "fonte persistente non solo di complesse dispute tecnico – giuridiche, ma persino di guerre di religione combattute a colpi di contrapposti slogan sparati nel circuito politico – mediatico dagli appartenenti ai due partiti avversi dei credenti e dei demolitori. Ciò sino al punto che la discussione pubblica finisce col trasformarsi in una sorta di scena surreale o di teatro dell’assurdo, in cui financo noti e qualificati magistrati finiscono col lasciarsi scappare banalità o sciocchezze".

Credo che, cercando di approcciare in modo critico un tema così delicato agli occhi dei non addetti ai lavori, si possa, anzi si debba, riconoscere un’attenuante a coloro che, perché si impegnano quotidianamente in prima linea contro la criminalità organizzata, talvolta dimenticano che il diritto penale non può essere applicato esclusivamente come un generalizzato strumento di difesa sociale - e talvolta quasi di lotta ideologica - dovendo invece, e soprattutto non di meno, costituire una essenziale garanzia per i diritti di ogni individuo rispetto alla pretesa punitiva dello Stato, che può rivelarsi infondata, ingiusta o strumentale.

Non si deve, poi, trascurare il fatto che anche solo un avviso di garanzia per "concorso esterno in associazione mafiosa" costituisce, di per sé, una "lettera scarlatta" agli occhi dell’opinione pubblica che, sotto il profilo simbolico, lascia un segno indelebile su ogni individuo; purtroppo anche a prescindere da una successiva sentenza di assoluzione.

Per amore di verità, va altrettanto spiegato che, non di rado, in nome del "concorso esterno in associazione mafiosa" possono fioccare condanne devastanti (si rischiano fino a dodici anni di carcere) per un reato che non sta scritto nel codice penale ma che, come probabilmente noto, è frutto di una creazione giurisprudenziale che, per quanto animata da condivisibili obiettivi – ovvero colpire severamente quella "zona grigia" di commistione di interessi tra clan veri e propri e classe dirigente senza scrupoli, economica o politica che sia – da sempre si espone ad autorevoli critiche in termini di rispetto delle garanzie di legalità e determinatezza su cui si fonda il "giusto processo" codificato nell’articolo 111 della Costituzione.

Il dibattito che da tempo arde tra i fautori e gli oppositori del "concorso esterno", a mio giudizio, è significativo indice della necessità – ormai non più rinviabile - di promulgare un nuovo codice penale che sostituisca l’attuale, orami fiaccato da oltre ottanta anni di vita e dal cambiamento della società: oggi, infatti, le priorità di tutela sociale assegnano valore fondamentale ad alcuni beni giuridici impensabili, se non inesistenti, solo fino a venti anni fa. Figuriamoci nel 1930.

In tale ambito, particolare rilievo penalistico va espressamente riservato - come colto dal disegno di legge presentato dal senatore Compagna, volto a introdurre nel codice penale il reato di "favoreggiamento di associazioni di tipo mafioso" - alla repressione di quelle condotte poste in essere da coloro i quali, pur non facendo parte di un’organizzazione criminale, ne favoriscono o agevolano la sopravvivenza, lo sviluppo o l’espansione.

Ciò, infatti, non può più essere fatto mediante il (comodo) ricorso a generiche categorie giuridiche extranormative - tale è, come detto, il "concorso esterno" – quanto, piuttosto, optando per la (coraggiosa) codificazione di un reato "tipico", che, partendo dall’analisi di un grave problema sociale, scelga espressamente di perseguire e punire – sanzionando, come oggi invece non accade, anche fenomeni economicamente e socialmente perniciosi come l’autoriciclaggio - quei canali di collegamento, quasi sempre a fini di reciproche, e turpi, convenienze, tra politici e/o "colletti bianchi" spregiudicati e mondo criminale. Ma, nel contempo, si deve dare la possibilità a chi è accusato di una condotta gravissima (avere aiutato le mafie pur non essendo un mafioso) di difendersi rispetto a fatti specifici, in quanto tali previsti dalla legge come reato, e non a teoremi, tanto suggestivi quanto "fluidi" e di carattere generale. Che rischiano perciò di sfociare in accuse di natura più etica che penale.